Storie della Vita della Vergine e della Sacra Cintola,1392-1395
affresco (326 mq ca.)- Opera: Storie della Vita della Vergine e della Sacra Cintola,1392-1395 - affresco (326 mq ca.)
- Autore: Agnolo Gaddi (da Firenze, not. dal 1369 – m.1396)
- Provenienza dell\’opera: DATO MANCANTE
- Direzione dei lavori: DATO MANCANTE
- Indagini scientifiche:
- Contributo: Isabella Lapi Ballerini, Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio per le province di Firenze, Pistoia e Prato. Il restauro è stato affidato ad Alessandra Pople della SAR.
- Documentazione Fotografica: provenienza sconosciuta
Note storiche
Il Duomo di Prato racchiude al suo interno una delle reliquie più importanti della Cristianità, la Sacra Cintola della Vergine. La narrazione del dono, del trasporto e del miracoloso ritrovamento è legato alla storia di Prato in modo indissolubile e intorno alla Cintola della Vergine cresce e si sviluppa non solo la storia della chiesa che la ospita, ma un po’ tutta la storia della città. La miracolosa reliquia fu portata nella pieve di Santo Stefano che fu ricostruita e ampliata in forme romaniche a partire dal 1211. Ulteriori vicende coinvolsero la custodia della Cintola, dopo il sacrilego furto perpetrato dal canonico Musciattino che intendeva venderla ai fiorentini ma fu scoperto e arso vivo, dopo il tentativo del Comune di Prato di aggiudicarsene il possesso e le copiose rendite che ne derivavano. Da allora le chiavi per aprire lo sportello che la racchiude sono in possesso una del Vescovo e l’altra del Sindaco della città, i quali partecipano, sempre insieme, alle ostensioni pubbliche effettuate più volte l’anno.
Si giunse quindi alla collocazione, avvenuta nel 1395, in una sede prestigiosa e definitiva, appositamente creata all’interno del Duomo. La cappella della Cintola fu realizzata in pochi anni, fra il 1385 e il 1388, nello stile del gotico tardo, caratterizzato dall’altezza e lo slancio delle due campate, terminanti con volte a crociera.
Successivamente alla esecuzione del ciclo pittorico, compiuto da Agnolo Gaddi entro il 1395, venne ultimata l’attuale facciata del Duomo, accostata alla originaria facciata romanica a una distanza tale da creare un collegamento fra la cappella e il nuovo pulpito per l’ostensione, capolavoro di Donatello e Michelozzo; l’intervento fu completato con la costruzione del pulpito per l’ostensione interna e della magnifica cancellata in bronzo che chiude la cappella, opera degli allievi di Donatello Maso di Bartolomeo e Pasquino di Montepulciano.
Il ciclo pratese, che il Gaddi realizzò in tre anni, quasi senza interruzioni, grazie anche alla collaborazione di assistenti di bottega come Neri d’Antonio e Bartolomeo di Fruosino, illustra le Storie parallele della Vita della Vergine, secondo la Leggenda Aurea di Jacopo da Varagine e della Sacra Cintola, soggetto moderno la cui iconografia, preceduta fra le opere a noi note soltanto dalla predella di Bernardo Daddi al Museo civico pratese, si fissa proprio nella cappella della Cintola. Numerosissime manomissioni ebbe a patire la cappella dopo l’ultimazione dei lavori da parte del Gaddi; nel 1454, per il posizionamento dell’organo, venne demolita parte della scena relativa alla traslazione della reliquia alla Pieve e proprio nella zona corrispondente alla veduta del Duomo. Per riparare i danni venne chiamato Fra Filippo Lippi che era intento all’epoca al ciclo della Cappella Maggiore del Duomo stesso.
Ai primi del ‘600 venne aperta una finestrella ferrata, in corrispondenza di una cappellina del Palazzo dei Proposti (attuale palazzo Vescovile). Nel 1659 viene realizzata l’apertura di una porta sulla parete di fondo,, con sovrastante armadio delle reliquie, danneggiando ampiamente la scena della Dormitio Virginis. Un’ulteriore perdita pittorica fu prodotta dallo spostamento della porta originaria di accesso alla sagrestia agli inizi del ‘700.
Successivamente gli affreschi vennero a più riprese “spazzati” o “rinfrescati”, finché nel 1830 si giunse al primo restauro vero e proprio, ad opera del pratese Antonio Marini, capostipite di una generazione di artisti-restauratori che tanto operarono fra Firenze, Prato e Arezzo nella seconda metà dell’800. Pur non esistendo alcuna documentazione dell’intervento del Marini, sappiamo attraverso testimonianze indirette che egli rimosse “una caligine antica” che nascondeva gli affreschi, ricolorì in azzurro i cieli e ridorò abbondantemente le aureole, gli ornati delle vesti e i fondi di alcune figure. Sappiamo inoltre che egli eseguì alcune integrazioni pittoriche, in corrispondenza delle abrasioni e delle lacune di intonaco, ma di queste nulla rimane, essendo state sostituite da nuove integrazioni nel corso del restauro successivo del 1939, che eliminò anche l’azzurro dai cieli, lasciando invece le pur eccessive dorature. Tale intervento, compiuto dal celebre restauratore pratese Leonetto Tintori, ci è noto solo attraverso un articolo, le cui informazioni, finora sottovalutate anche negli studi recenti sulla Cappella, si sono rivelate ora importantissime ed hanno permesso di identificare l’autografia e l’epoca di alcune integrazioni e dei disfacimenti riscontrati in varie aree e si è potuto comprendere il tipo di integrazione di intonaci compiuta dal Tintori, sempre con una base di gesso, usato anche per iniezione come consolidante, e attribuirgli di conseguenza la totalità dei rifacimenti presenti nella Cappella. Tali rifacimenti furono in parte riaggiustati dallo stesso Tintori nel corso di un ulteriore intervento del 1972, come prova il sottile strato di grassello di calce e sabbia applicato in alcuni casi su una sottostante superficie a gesso, secondo un metodo di “mascheramento” tipico di quegli anni.
In ogni caso le stuccature sono state ora interamente rimosse, sia per la loro componente gessosa, pericolosa a contatto del carbonato di calcio che costituisce la materia dell’affresco, che per l’alterazione cromatica dei ritocchi. Nel restauro del 1972 il Tintori ripulì gli affreschi dal nerofumo e dallo sporco atmosferico e soprattutto ne consolidò le parti esfoliate a causa della solfatazione col ricorso alla tecnica in uso in quegli anni, ovvero con una stesura uniforme di resine acriliche. La lettura attenta e le indagini compiute hanno ora permesso di disgelare una storia complessa sulle tecniche, i modi e i tempi dell’esecuzione degli affreschi e sul loro stato di conservazione. Si è giunti ad esempio a determinare che alcune stuccature celavano la presenza antica di ganci per una cornice lignea che sosteneva, probabilmente, parati liturgici usati in alcune circostanze e che certe ampie perdite erano causate dai colpi e dall’appoggio di scale necessarie a mettere e a togliere i drappi.
Così nella storia quotidiana dell’esecuzione si è compreso che per la Natività furono necessarie 12 giornate lavorative, che certe tracce riscontrate erano il segno del poggiavano necessario per l’esecuzione di una testa, si sono evidenziati certi pentimenti minori o di altri più consistenti.
La riapertura dei fori di aerazione esistenti nelle volte, quasi tutti ristuccati ma sicuramente originali, trovati sigillati, migliorerà non poco il microclima e permetterà lo sfogo al nerofumo, all’umidità di condensa, ma anche a quell’aria calda che, ristagnando soprattutto nella campata interna, ha causato l’evaporazione dell’umidità presente nella muratura, e, attraverso la cristallizzazione dei sali solubili connessi a quella stessa umidità, le ingenti perdite di colore che ne caratterizzano le vele, in stato assai peggiore di quelle della prima campata, favorita da una migliore circolazione dell’aria.
Fra i risultati più significativi della pulitura, è la riscoperta vivacità dei colori, che, unita all’uso di pigmenti insoliti, come il giallorino, ben descritto dal Cennini, di un’intensità quasi fosforescente, rende ancora più esplicita la decisa impennata in senso tardo-gotico qui espressa dal Gaddi, già pronto a passare il testimone al gotico internazionale e al gotico estremo di alcune invenzioni narrative assolutamente provocatorie.
Il rispetto dei principi fondamentali del restauro moderno ha guidato l’intervento: compatibilità, reversibilità e distinguibilità sono state perseguite il più possibile, tenendo conto, nelle operazioni finali di stuccatura delle lacune e di ritocco pittorico, dell’esigenza di riconferire unità all’immagine generale. Secondo un principio di unità di lettura si è ritenuto di distinguere nel tipo di integrazione pittorica i rifacimenti di intonaco dovuti ad ammaloramento e a caduta accidentale dell’intonaco, ricostruiti a selezione, da quelli determinati da mutazioni architettoniche, che sono stati trattati con un neutro reso vibrante attraverso un ritocco ad astrazione cromatica. Si è lasciata allo stato di abrasione tutta la zona di battitura delle scale, in precedenza ridipinta dal Tintori, mantenendo l’effetto di abrasione anche in corrispondenza delle nuove, interposte stuccature.
Note storiche e note sul restauro dalla documentazione fornita da: Isabella Lapi Ballerini, Archivio A.R.P.A.I.